Sara Rodolao

7.9.09

LILLY LA TUA ROSA E’ FIORITA CAPITOLO 1-2-3

LILLY LA TUA ROSA E’ FIORITA
- PRIMO CAPITOLO -

Quel paesino dell’entroterra ligure, sulle alture di Imperia, era piccolo, circondato da fasce prospere di ulivi; da orticelli e giardini e il crocchio di case, cui si addossava anche quella di Lilly, erano tutte intonacate di bianco.
Era, la sua casa, quasi incollata all’antica chiesetta, in stile tardo romanico che aveva, cosa insolita, la torre campanaria staccata dal suo nucleo.
Nei muri della torre, ogni anno, le rondini ritrovavano i loro nidi, al ritorno dal lungo viaggio dai paesi del sud: era un continuo, vorticoso volteggiare d’ali e di pettorali bianchi e l’armonia e la bellezza di quei voli intorno alla chiesa parevano togliere il respiro!
Quella piccola costruzione l’avevano comprata, Lilly e suo marito Arrigo, per passarvi, serenamente gli ultimi anni della loro vita. Una vita che, ormai, aveva più un passato che un futuro.

Il loro passato l’avevano trascorso interamente sul mare, dove lavoravano a bordo di grandi navi da crociera.
Il loro futuro, volevano dedicarlo a loro due, alle loro piccole passioni, ai pochi amici sopravvissuti alla selezione del tempo.
Lilly, per prima cosa, appena preso possesso della casa, volle occuparsi del giardino.
Mise a dimora tante piante e tanti fiori, d’ogni specie e colore; spese una piccola fortuna, prima di potersi ritenere soddisfatta ma, alla fine, si sentì davvero una brava giardiniera: il suo piccolo paradiso era un tripudio di colori e di profumi.
La sua passione, però, erano il glicine e le rose.
Interrò il glicine vicino al cancello, pensando a come sarebbe stato stupendo, alla fine dell’inverno, vederlo rinascere, come per miracolo, da quella contorsione rinsecchita nei suoi grappoli e impazzire con lui, dalla gioia, nel suo delirio viola!
Piantò, anche, una quantità considerevole di rose, sorridendo al pensiero di come serebbero state magnifiche, anche loro, nella prima fioritura, la primavera seguente. Già immaginava quella festa di tinte rosse, gialle, bianche, granato, salmone…un sogno.
Arrigo si complimentò con lei: quella donna era davvero un pozzo di sorprese. Sapeva fare di tutto, niente la metteva in difficoltà.
Nella loro vita in comune, oltre ad amarlo, gli aveva dimostrato saggezza e coraggio, doti che li avevano aiutati nei numerosi momenti difficili del loro percorso esistenziale.
La loro unione aveva basi solide in un sentimento forte; un amore nato all’improvviso, come un miracolo, in una parentesi storica, drammatica, per l’Italia e per il Mondo.

La conobbe, la sua Lilly, in un campo di profughi ungheresi, dove era arrivata, in modo rocambolesco, salvandosi da mille pericoli.
Arrigo faceva volontariato in quel campo, stracolmo di un’umanità sofferente, un’umanità umiliata, vinta; dalla disperazione e dall’angoscia di un domani senza speranze. Egli portava derrate alimentari, per conto di un’associazione di beneficenza in quel campo, ogni quindici giorni.
Fu il destino a farli incontrare quella mattina di gennaio del millenovecentoquarantatre.
Arrigo si apprestava ad eseguire la solita consegna al magazziniere, quando una ragazza molto magra, pallida, dall’aria rassegnata, estranea a quanto la circondava, aveva attirato il suo sguardo. Traspariva, in lei una delicatezza, una soavità, una dolcissima malinconia: pareva uscita da un affresco di Giotto. S’intravedeva, in quella ragazza, anche nelle vesti di un abitino di mediocre fattura, un corpicino armonioso, un portamento di classe, un’innata signorilità.
La trovò di una delicata, pulita, insolita, bellezza: aveva una certa esperienza in fatto di ragazze.
Arrigo era nato in una famiglia benestante di Genova e cresciuto nell’ambiente della buona borghesia ligure; stimato come uomo, apprezzato come musicista e compositore. Fin dai primi anni della sua vita, aveva studiato la musica e si era diplomato in pianoforte al Conservatorio.
Non voleva perdere tempo, aveva iniziato subito un corso di perfezionamento con un Maestro di chiara fama, cominciando a collaborare anche, con un Maestro di canto, come accompagnatore al pianoforte.
Portava avanti, con successo, la sua attività di concertista, sia come solista che in un trio che si esibiva in concerti di musica da camera. Suonava anche il clarinetto, il flauto traverso, il violoncello, il clavicembalo e il violino: la musica era la sua passione, l’amore a cui non avrebbe potuto, mai, negare, nessun sacrificio.
Quella mattina di gennaio, intuì subito che un amore altrettanto appassionato aveva catturato, per sempre, il suo cuore di uomo e d’artista.
Volle sapere di lei, dai responsabili del campo che visto il grande aiuto che portava e la stima di cui lo onoravano per il suo impegno, non gli negarono le informazioni che desiderava.
Venne così a sapere che quella bella ragazza profuga non aveva nessuno al mondo.
La sua famiglia, al completo, era stata sterminata dalla follia nazista. Lei si era salvata, al momento del rastrellamento, si trovava in un paesino appena fuori Budapest, ospite di un’amica di sua madre.
Prima di quella tragedia che aveva sconvolto la sua giovane esistenza, nel suo paese, per pagarsi gli studi all’università, frequentava la facoltà di Lettere; faceva la ballerina, perché studiava pure danza, in un famoso locale di Seténdre, piccola città turistica sulle rive del Danubio. Questo particolare lo stupì piacevolmente: ecco spiegate quelle gambe da statua!
Nella sua testa e nel suo cuore si fece strada un sentimento che avrebbe cambiato la sua vita e, soprattutto, la vita di Lilly: andava a trovarla tutti i giorni, portandole libri e piccole cose necessarie alla sua esistenza di ragazza.
Cercò di farle superare quella diffidenza giustificata, dalla sua esperienza personale che nutriva nei confronti degli uomini. Lentamente si guadagnò la sua fiducia e la sua stima, ridimensionando col suo comportamento quel concetto negativo che Lilly aveva degli uomini in genere: le dimostrò che non erano tutti uguali come lei pensava.
Lilly si aggrappò a quella mano tesa verso di lei, l’unica mano che poteva strapparla a un destino di dolore che pareva dovesse inghiottirla nei gorghi impetuosi dei suoi fiumi in piena.
Arrigo, mise in moto tutte le sue conoscenze, chiedendo aiuto a chiunque. Al Consolato presero a cuore la sua richiesta di portar la donna fuori di quel purgatorio d’anime in attesa di non si sapeva bene cosa; erano amici della sua famiglia e, nel giro di pochi mesi, Lilly lasciò il campo profughi e andò ad abitare in un piccolo monolocale in uno dei vicoli vicini al porto.
La famiglia di Arrigo si mostrò contraria, stupefatta da quella pazzia ché, d’improvviso, cambiava i loro piani di vederlo sposato con la figlia di qualche banchiere genovese.
Misero in chiaro la questione in termini molto semplici: se non lasciava perdere quella ragazza ( per loro era una faccenda di cui vergognarsi), doveva scordarsi di loro; non volevano, non potevano mischiarsi con una ballerina di locali notturni, per di più profuga e dell’Est !
Arrigo non perse tempo in spiegazioni che sapeva non sarebbero servite. Conosceva fin troppo bene le ipocrite convenzioni, l’ottuso perbenismo, della sua famiglia.
In fondo non l’avevano mai capito più di tanto: lo consideravano un artista un po’ svanito, con la testa tra le nuvole che viveva in un mondo tutto suo, fatto di musica e poesia, d’inespresse malinconie. Lilly era l’unica donna entrata nel labirinto delle sue solitudini, con delicatezza, con grazia e una rara sensibilità, simile alla sua.
In quel suo mondo, voleva starci con Lilly o nessun’altra.
La sua famiglia non la voleva? Bene, lui non voleva più la sua famiglia: erano pari!
Arrigo si fece carico di tutte le sue necessità: andava a trovarla nell’appartamentino sul porto e passavano il loro tempo a parlare, soprattutto d’Arte e di musica.
Lilly era appassionata di letteratura e di poesia. Adorava i Simbolisti francesi, i grandi classici russi ma, soprattutto, era innamorata di Federico Garcìa Lorca: del suo Romancero Gitano e del suo Poema del Cante Jondo. Stravedeva per Vladmir Majakovskij, sapeva a memoria le sue composizioni e si commuoveva fino al pianto, parlando con Arrigo, della sua solitaria, tragica, morte. Gli leggeva poesie di Tagore il suo volto si trasfigurava e i suoi occhi risplendevano d’una luce purissima come un diamante…
Lei stessa scriveva bellissime poesie, dal tema amoroso e romantico; metteva, in quei versi, tutta la luce della sua anima, assetata di bellezza e di libertà: sembravano quadretti pittorici, incorniciati nell’arcobaleno.
Dalla lettura di quelle poesie, di cui Arrigo divenne il solo lettore privilegiato, gli fu facile capire che anche Lilly si era innamorata di lui a prima vista, quel mattino di gennaio, nella triste atmosfera del campo profughi.
Forse, in un altro tempo e in un altro spazio, in un'altra dimensione dimenticata, fatta di tutto e di niente, di sempre e di mai, si erano già appartenuti: nello spazio temporale che li ospitava, si erano semplicemente ritrovati, riconoscendosi reciprocamente al primo sguardo.
E’ avevano dato libertà assoluta a quel sentimento; l’avevano assaporato, vissuto intensamente, in ogni sfumatura: parlavano ore e ore, cercando ognuno il centro dell’altro.
Era uno sprofondare in un mare di sensazioni vellutate: vortici di gesti e di parole, di carezze e di sospiri, d’abbracci frenetici e di mani mai sazie, sempre alla ricerca d’altre mani da stringere, da conoscere.
Fare l’amore era stato l’ultimo atto sublimale di quell’intesa perfetta: un impasto d’anima e carne… il lievito di un pane antico quanto il mondo. Il suggello a quel sentimento d’amore, indissolubile. Lilly, dopo l’amore aveva sciolto il suo cuore in un pianto dolce come l’attesa che l’aveva preceduto e Arrigo coglieva quel pianto come il dono più grande che mai nessuno prima gli aveva donato e che mai più avrebbe voluto ricevere.
Cercavano di stare sempre insieme e, quando si lasciavano, cercavano, invano, di non pensarsi, di concentrarsi sulle cose di tutti i giorni; ma avevano un’anima in due: anche se lontani, erano sempre vicinissimi.
Lilly avvertiva la presenza di Arrigo anche quando lui era lontano; percepiva il profumo della sua pelle ( fragranza di erba tagliata di fresco), rimasto sul suo corpo, sui cuscini, nell’aria, sui muri, nelle cose contenute nella casa: ad Arrigo, succedeva la stessa, identica cosa.

L’unica nuvola sul cielo di quell’idillio, era la nostalgia di Lilly per la sua terra lontana, la sua Ungheria, per la sua Gente cosi dignitosa.


LILLY -LA TUA ROSA E' FIORITA-
SECONDO CAPITOLO

Arrigo prometteva di riportarla in quella terra quando il Mondo fosse tornato quello di prima della guerra che imperversava in tutta Europa: dopo che tutta quella tragedia collettiva fosse finita, quando i lutti e i dolori si fossero allontanati dalle loro vite.
Lilly, aveva in Arrigo una grande fiducia, era sicura che l’avrebbe riportata nella sua terra, prima o poi.
E’ quella tragedia, come Dio volle, finì. Nessuno era rimasto lo stesso di prima del conflitto, ma tutti cercarono di ricominciare a vivere, a ricostruire, aggrappandosi alla speranza di una vita che si avviava verso un futuro migliore, senza l’incubo delle bombe, dei morti, della fame.
Arrigo mantenne la promessa fatta a Lilly qualche anno prima: la portò nella sua terra, nella sua Budapest e, in quella stupenda città, volle sposarla.
Sotto il ponte delle Catene, illuminato nella notte festosa di una città che pareva gioiosa come una sposa bambina, stretta alla vita dal Danubio simile ad un nastro grigio perla, Lilly aveva detto ad Arrigo, ormai suo per sempre:
“ Arrigo… se dovessi partire da questa vita prima di te, giuro che io verrò a prenderti, un mattino di primavera…”
Avevano vissuto la luna di miele sulle rive del lago Balaton, in un alberghetto carino circondato dai vigneti; cenando sempre in una classica “Ciàrta “ e girovagavano tutto il giorno alla scoperta di nuovi angoli da fotografare. Lilly non avrebbe mai dimenticato quella parentesi meravigliosa vissuta insieme agli amori più grandi della sua vita: Arrigo e la sua Terra.
Tornarono a Genova, col cuore stracolmo d’emozioni forti, indimenticabili. Arrigo promise, ancora una volta, che ci sarebbero ritornati, in quella terra che anche a lui aveva rubato gli occhi, per la troppa bellezza che racchiudeva nei suoi paesaggi e nell’anima gentile della sua gente.

Riprese il suo lavoro di musicista, formò un quartetto d’archi e, insieme ai suoi colleghi, girava l’Italia e L’Europa, raccogliendo meritati successi.
Non avevano, nella loro unione, come avrebbero desiderato, la benedizione di un figlio, ma questo non intaccava minimamente il loro matrimonio. La loro vita insieme era un libro bianco che speravano di colorare tutto e con tutti i colori del loro amore, anche senza figli.
Dopo un anno, passato con quel continuo partire e tornare di Arrigo, Lilly, che era andata avanti coi suoi studi di danza, ed aveva una sua scuola di ballo, gli propose di lavorare insieme, di unire le loro attività, voleva stargli più vicina, dividere anche quell’aspetto della loro vita.
Aveva avuto un’idea che a suo marito era piaciuta subito: andare a lavorare sulle navi da crociera. A Genova, facevano scalo un’infinità di navi di quel tipo e potevano facilmente farsi ingaggiare tutte e due, lui come musicista nell’orchestra, lei come ballerina, unitamente al suo corpo di ballo. L’ esperienza non mancava a nessuno dei due!
Qualche mese dopo s’ imbarcavano, pieni di speranza, su di una delle più belle navi da crociera che solcavano il mare, verso le più rinomate mete turistiche che in quel tempo.
E’ avevano passato anni da sogno, sul mare; quel mare che amavano entrambi: a prua il vento pregno di sale sui loro visi, a poppa l’inebriato gioco dei delfini sulle spume. Il mare…quell’immenso lenzuolo azzurro su cui Lilly ricamava poesie col filo magico dei pensieri… il mare … su cui Arrigo posava le sue note, come polline d’armonia sullo spartito dell’estro…il mare…il mare…infinita metamorfosi di vita rigenerante.
Il cuore di Lilly, nonostante il mare, spesso volava, come un gabbiano infelice, alla sua Terra natia, alle sue radici radicate in profondità nel suo cuore.
Arrigo, continuava a prometterle quel ritorno che, per lei, diventava con gli anni sempre più necessario;ma passarono molti anni e loro continuarono a navigare per i mari del Sud e del Nord, lavorando senza risparmio.
Poi, un giorno funesto, la loro nave fu speronata da una nave mercantile e, nello spazio di due ore, forse tre, la videro andare a fondo e, con lei, s’inabissò anche la loro voglia di andare per mare; si inabissò anche la parte più bella della loro gioventù.
I soccorsi arrivarono in ritardo, molti dei loro amici restarono per sempre in quella tomba fatta d’acqua. In Lilly e Arrigo prese forma la paura che mai più sarebbero ritornati a Genova, nella loro casa nel vicolo antico; mai più Lilly avrebbe rivisto le distese di papaveri giganti, che festeggiavano l’estate, nella sua amata terra d’Ungheria.
Mai più Arrigo avrebbe eseguito concerti nei teatri del mondo, un mondo che pareva tutto lì, concentrato; in quella tragedia liquida che ingoiava la vita intorno a loro.
Con tutta la fede dei loro cuori, pregarono il Signore che li salvasse, facendoli tornare a Genova: giurarono che mai più avrebbero messo piede su qualunque cosa potesse galleggiare.
Il Signore li salvò: arrivarono i soccorsi, quando loro stremati, non avevano neanche più la forza per sperare; ebbero la grazia di tornare nel loro nido di sempre.
E, ormai non più giovani, ricominciarono facendo una vita normale, semplice lei senza scuola di ballo, lui senza concerti, suonava solo per sé e per Lilly: avevano deciso insieme quella prospettiva di vita tranquilla. D’emozioni forti, n’avevano avuto abbastanza.
Lilly, dalla sua seggiola a dondolo di vimini, lo ascoltava estasiata. La commuovevano le sue mani, mani lunghe, affusolate, due farfalle, in cui Lilly credeva, sinceramente; fosse concentrata tutta la spiritualità, tutta la sensibilità, di tutti i musicisti del mondo…
I notturni di Chopin, le sinfonie di Mozart, di Beethoven; le rapsodie di Lizt, la malinconia dolce di Bach: quelle note magiche, a lei parevano materializzarsi in ghirlande di fiori che uscivano dal pianoforte di Arrigo a fluttuare nell’aria, come petali nel vento. S’inteneriva ogni volta come la prima: l’amore della sua vita era un Artista…
Lilly scoprì la passione per le piante e per i fiori, Arrigo, a sua volta, si scoprì anche appassionato dei boschi, della quiete che regnava sovrana in certi paesini dell’entroterra ligure, col respiro del vento nei carruggi, il profumo del basilico sui balconcini, i paesani che ti salutano anche se non sanno chi sei se t’incrociano sulla loro strada.
Decisero di comprarne una e lì trascorrere il resto della loro esistenza. Ne visionarono tante, ma acquistarono quella piccola e deliziosa, nel paesino circondato dalle fasce degli ulivi, dagli orti e dai giardinetti, sulle alture dell’entroterra d’Imperia.
Da lassù, nella parte alta del paese, si poteva vedere, in lontananza, uno spicchio di mare, laggiù, oltre i moli; un fazzoletto d’acqua che a loro arrivava slavato dalla lontananza e rammentava appena l’immensa, azzurra distesa, dove i loro compagni di un tempo navigavano nei fondali, per sempre.
Lilly, in quell’ambiente umile e cordiale, cominciò ad avere meno nostalgia della sua terra, anche se pensavano di tornarvi certamente, alla fine.
Erano sereni, la loro vita trascorreva in una semplice quotidianità, come il lento fluire d’un fiume senza vortici, un fiume calmo che non aveva nessuna fretta di raggiungere la sua foce.


LILLY - LA TUA ROSA E' FIORITA
ULTIMO CAPITOLO

...Quella mattina d’ottobre, Lilly stava lavorando allegramente in giardino: Arrigo aveva acquistato per lei una pianta di rose di una tonalità che la faceva letteralmente impazzire di gioia. Le aveva fatta arrivare, facendole una sorpresa, da un vivaio ungherese che le vendeva per corrispondenza. Era raggiante; nel suo piccolo eden mancava proprio una di quelle piante che facevano delle rose dai petali grandi e carnosi, profumatissimi, persino sensuali: le rose della sua Terra.
Arrigo lasciò che si dedicasse al suo hobby, mentre lui si dilettava al pianoforte. Non sentendola rientrare, dopo un po’ uscì in giardino a chiamarla: ma Lilly non poteva più udirlo, non poteva più rispondergli.
S’era andata... all’improvviso, senza neppure dirgli addio, appena finito di piantare le sue rose…era lì, piegata su se stessa, le mani nascoste nei guanti da giardino; gli occhi aperti e ancora vivi, la bocca fiorita in uno stupore doloroso.
Lilly…era solo una bambola rotta, ancora bellissima, nel suo vestitino di flanella color senape.
E’ Arrigo fece ritorno nella terra di Lilly, col suo fardello di dolore acuto. La riportò in Ungheria in una cassettina d’argento: un pugno di polvere grigia, quello aveva ricevuto, un pugno di cenere, solo quello, di Lilly, il suo amore... la storia bella della sua vita.
Solo una un po’ di cenere: tutto quel cuore, tutta quella poesia in lui contenuta, quella mente, quel corpo, quella rara sensibilità e quei sentimenti che lui aveva amato, per una vita intera, stava in una minuscola scatoletta d’argento…Signore che strazio…

Budapest, la romantica, la città del loro sogno, senza di lei gli parve più grigiastra e più piangente del salice del suo cuore, che stentava a rassegnarsi a quel distacco così improvviso.
Lasciò, una sola rosa rossa sulla tomba di Lilly e la pregò disperatamente, col pensiero, di venirlo a prendere quanto prima.
Il tempo passò lento, sulle lacrime e sul dolore di Arrigo.

L’inverno, col suo gelo, gli faceva rimpiangere, ogni anno, il calore che gli sapeva dare l’amore di Lilly. Ormai, anche l’estate era fredda, estranea, pietrificata, come la sua anima, rimasta impigliata nelle spine di quelle rose che parevano morte, anch’esse, nel giardino di Lilly; un giardino spoglio, desolato, come la sua vita di vecchio rimasto senza il timone della sua anima.
Era come un glicine perennemente contorto in una dolorosa solitudine, nella crudele rassegnazione di un uomo senza prospettive di gioia, nelle sue giornate annebbiate dal rimpianto.
Quel mattino di fine marzo, sorseggiava il suo caffè con la mente confusa e persa chissà dove; forse a navigare nelle nostalgie di un tempo fatto di mare, di tempeste, di naufragi, di porti, di musica, di Lilly che danzava sulle punte, come una corolla di luce, sullo stelo dei suoi ricordi.
La sua attenzione fu attratta da qualcosa di colorato, giù in fondo al giardino, dove sua moglie aveva messo a dimora la pianta di rose ungheresi, il suo ultimo regalo.
In tutti quegli anni, mai aveva fatto una rosa, mai, neppure una: sembrava morta, anch’essa, insieme a Lilly. Come se Lilly avesse portato con sé anche la linfa vitale di quella pianta.

Madre Celeste! Era fiorita, la rosa di Lilly era fiorita!
Quel bocciolo turgido, irrorato di brina, aveva il colore rosso ciliegio delle labbra di Lilly!
Era fiorita, lei tornava a lui, finalmente, in quel mattino di fine marzo; era venuta a prenderlo.

Si ricordò all'improvviso della promessa che gli aveva fatto sotto il ponte delle Catene a Budapest:
“Arrigo se sarò io a partire per prima, verrò a prenderti un mattino di primavera…”
Lilly... Amore... la tua rosa è fiorita…sei tornata…sono pronto...

Tornò in fretta in casa, nella sala musica, dove non era più entrato, dalla morte di Lilly cominciò a scrivere con frenesia; poi si mise al piano e iniziò a cantare:

La tua rosa / è fiorita / rosa rossa d’amor / che mi parla di te / di tutta una vita / dolce amore svanito / è tornato per me / la tua rosa è fiorita…

Tornò in giardino e, nell’allungare, con tenerezza, la mano tremante verso il bocciolo, in un delicato gesto di carezza, una spina gli si piantò nell’anulare, dove l’anello nuziale di Lilly brillava ancora, come un tempo: gocce di sangue rosso rubino si aprirono, come piccole rose nella sua mano.

Si guardò la mano con stupore, poi, lentamente, si sdraiò vicino alla pianta di rose ungheresi e chiuse gli occhi: vide nettamente Lilly che gli tendeva sorridendo la mano sinistra, al cui anulare brillava ancora l’anello nuziale di Arrigo.
Pure nella mano di Lilly gocce di sangue rosso rubino si erano aperte, come piccole rose.
Le ciglia di Arrigo rimasero incollate in quell’ultima visione d’incanto.
Ebbe la netta sensazione che la terra gli risucchiasse tutto il calore del suo corpo; in un attimo gli si proiettò l’intera sua vita e il mare, il cielo e i colori si fusero tutti in un bianco abbacinante, che lo avvolse come l’abbraccio di una mamma.
Una lama di luce gli attraversò il torace ed esplose in lui l’ultimo grido: Lilly!

Lilly prese la mano di Arrigo: le piccole rose si unirono in un’unica rosa, scarlatta.

FINE

LILLY - LA TUA ROSA E' FIORITA - ULTIMO CAPITOLO

LILLY - LA TUA ROSA E' FIORITA
ULTIMO CAPITOLO
Cara Lisa...rileggendolo mi sono commossa come quando l'ho scritto.

5.9.09

LILLY - SECONDO CAPITOLO

TRATTO DAL LIBRO"DONNE NEL PARCO"
LILLY -LA TUA ROSA E' FIORITA-
DEDICATO A LISA ... ALLA SUA TERRA. Sara

4.9.09

LILLY - PRIMO CAPITOLO

TRATTO DAL LIBRO DI RACCONTI "DONNE NEL PARCO "
di Sara Rodolao
LILLY LA TUA ROSA E’ FIORITA